In un paese dove per un quarto di secolo ha imperato una dittatura, quella fascista, fomentatrice di guerre di aggressione e rea di distruzioni, fame e morte, non potrà mai esserci vera democrazia e armonia o distensione politica se quel nefasto passato non verrà definitivamente archiviato dalla ufficialità della nazione come male assoluto e vergogna ineluttabile della propria storia.
Questo preambolo si impone, considerando che i vecchi fascisti ed i loro attuali discendenti, mai hanno voluto riconoscere la Resistenza e la guerra di Liberazione come legittime artefici di questa libera e democratica Repubblica.
Apporto che la Resistenza seppe dare anche a fine conflitto con i propri rappresentanti politici alla elaborazione di regole democratiche e possibilmente giuste. Fu un contributo di notevole spessore, visto il riscontro che si trovò nella stesura della Carta costituzionale.
Quella Carta delle regole ufficialmente emanata il primo gennaio 1948, fu pensata quale strumento che, se rispettato in tutte le sue parti, avrebbe potuto portare il Paese al compimento di una via italiana attenta al sociale ed alle necessità dei cittadini, in pari misura ad una giustizia del diritto e del dovere uguale per tutti.
Forse è per questo motivo, che l'attuale presidente del Consiglio dei ministri, Silvio Berlusconi, di recente ha definito la Costituzione italiana "un impaccio di origine sovietica". Quella Resistenza, che nell'antifascismo aveva sviluppato le motivazioni di libertà e condotto in modo unitario la guerra per la liberazione del Paese insieme alle forze dell'alleanza anglo-americana, fu certamente una forza di spirito risorgimentale con prospettive di progresso e giustizia sociale.
Tutto ciò purtroppo bruscamente si interruppe per esigenze politiche di una inutile “guerra fredda” già in corso. Quindi, subito nel dopoguerra la politica italiana fu fortemente influenzata e condizionata da pressioni di vario tipo, propinate per ostacolare e soffocare lo spirito di speranza che aveva animato tanti giovani per una società più umana, più giusta, più onesta.
Tanti furono coloro che accettarono la Costituzione con una mano e con l'altra cercarono di buttarla. I governi democristiani, supportati dai piccoli partiti, non fecero nulla per evitare che verso la Resistenza si alimentassero, si usassero ed esprimessero dubbi, divise memorie e reticenze.
Sono trascorsi dalla Liberazione 63 anni, in cui il Paese certamente ha avuto una evoluzione economica, finanziaria e tecnologica, ma sul piano umano, non ha fatto progressi ma battute di arresto, per certi aspetti regressi. Una certa etica che aveva in sé i principi della solidarietà umana, della dignità e del rispetto, presente nell'immediato dopoguerra è svanita nel nulla.
Una progressiva e deleteria influenza ha portato negli anni questo Paese a perdere ogni briciolo di moralità, per cui l'unico principio al quale è stato educato: il possesso del Dio denaro, strumento ineccepibile di potere ed egoismo.
Dopo gli anni ‘90 il successo della destra post-fascista dovuto al suo “sdoganamento” compiuto da Silvio Berlusconi, ha inoltre sviluppato un discorso che da tempo covava sotto le ceneri: ridiscutere il fondante valore che la Resistenza ebbe nella costruzione della democrazia italiana con l'intento di sminuire il male del fascismo e far dimenticare l'antifascismo.
La volontà della destra è di cercare con molta assiduità la trasfigurazione della storia dato il proprio desiderio che sarebbe di riuscire a pulire quel fascismo dalle nefandezze compiute nel quarto di secolo di dittatura per poi, dopo averlo in parte democratizzato e riassestato, poterlo ripresentare alle nuove generazioni come necessario e utile per il proseguo politico di questa nazione.
Oggi, personaggi della politica e della cultura di destra quando parlano di Resistenza, non tralasciano mai il loro vecchio concetto di pregiudiziale anticomunista affermando che il P.C.I.,era forza preponderante nel movimento resistenziale ed aveva un unico scopo: distruggere la loro dittatura per poi imporne una propria.
I fatti hanno ampiamente dimostrato la falsità delle accuse. Con le elezioni politiche del 1948 il risultato fu negativo alla tradizionale sinistra italiana e il partito comunista dette dimostrazione di prenderne democraticamente atto. La voce del suo leader Palmiro Togliatti, già subito dopo il suo ritorno in Italia nel marzo 1944, aveva fatto dichiarazioni di impegno unitario e di collaborazione democratica con tutti i partiti antifascisti e in tal modo proseguì in tutto il dopoguerra, invitando alla calma e alla riflessione, anche dopo che il fascista Pallante gli aveva ficcato due pallottole nella testa.
Questa interlocuzione nel suo intento vorrebbe respingere la strumentalità che spesso si adotta per svisare e calunniare la grande funzione della Resistenza. La Resistenza, nella strategia di Ferruccio Parri (il “Maurizio” che ne fu il vice Comandante e dopo la liberazione presidente del Consiglio dei ministri), avrebbe dovuto avere una funzione di sostegno e di spinta per proseguire nel dopo guerra come forza di progresso sociale.
Era talmente profonda in Parri questa convinzione, che quando nel 1947 il premier a lui succeduto, De Gasperi, di ritorno da un viaggio negli Stati Uniti, determinò l’esclusione dal proprio governo dei due partiti P.C.I. e P.S.I., egli lo interpretò come un tradimento politico della Resistenza, proprio perché rompeva quella continuità ideale che li aveva uniti nell'antifascismo.
Il suo concetto era quello di un parlamentarismo progressivo per una transizione legata dalla democrazia borghese ad una democrazia socialista. Certo, era una strada troppo individuale che un Paese uscito sconfitto dalla guerra non poteva permettersi. Erano libertà politiche che non avevano il beneplacito dei vincitori.
Per cui, come primo atto si impose una azione di delegittimazione e rottura fra le forze dell'antifascismo. Una delle strategie in tal senso, fu scrivere e dire come la guerra di Liberazione 1943-1945 era stata una “guerra civile”, svuotando in tal modo quell'evento da ogni forma che potesse rassomigliarlo ad un moto risorgimentale. Affermazione falsa e pure offensiva, che tende a creare le ragioni tanto piacevoli ai fascisti tesi a paragonare le loro ragioni morali al pari di quelle dei partigiani.
Nella primavera del 1943, l'Italia vide una grossa parte della sua popolazione organizzare scioperi e apertamente con molto coraggio manifestare la sua avversione al regime ed al proseguo della guerra. Il 25 luglio 1943 gli americani erano già sbarcati in Sicilia ed il Gran Consiglio del fascismo si riunì d'urgenza e sfiduciò Mussolini, al quale non restò che presentarsi dimissionario davanti al re Vittorio Emanuele III (a sua volta unico responsabile dell’avvento dello squadrismo al governo) che lo fece arrestare nominando al suo posto come primo ministro il maresciallo Pietro Badoglio.
Quest’ultimo il 2 agosto, con un decreto legge, deliberò lo scioglimento e la soppressione del partito fascista. Il popolo, stanco della sofferenza in cui era costretto a vivere, entrò nella speranza di una possibile pace con il ripristino della legalità democratica. Nessuna violenza si sviluppò contro i fascisti come persone, quindi nessun tentativo di vendetta da preludio ad una guerra civile.
L'armistizio che il nuovo governo Badoglio chiese alle nazioni angloamericane e annunciato l'8 settembre 1943 fece accelerare ai tedeschi i tempi della occupazione già in corso del territorio italiano, per cui la illusione di quei cittadini che avevano sperato in una immediata pacificazione sul suolo patrio fu vanificata.
Quella invasione dimostrava la volontà di Hitler di utilizzare il nostro territorio per frenare l'avanzata degli Alleati verso i loro confini. Mussolini, prigioniero nell'albergo di Campo Imperatore sul Gran Sasso d'Italia, sorvegliato da un plotone di carabinieri reali, il 12 settembre fu liberato da una compagnia di paracadutisti tedeschi e portato in Germania. La repubblichetta sociale fascista con sede a Salò che abusivamente ed illegalmente i due dittatori Hitler e Mussolini costituirono ed imposero alla parte della nazione non ancora occupata dalle forze militari angloamericane, trovò consenzienti qualche centinaio di fascisti risorti e idealmente legati alla “grandezza” della Patria fascista ad ogni costo.
Ai quali si aggiunsero una parte di giovani che, o ingannati dalla retorica patriottarda, o senza idee se non quelle di guardare con egoismo ai propri interessi, cercarono di approfittare e beneficiare della occasione e del momento che consentiva loro regolari pasti quotidiani, uno stipendio mensile composto da tre zeri e con quattro o cinque numeri complessivi quintuplicato ad un salario normale e di una posizione di libero abuso su ogni cosa.
Quindi, una precisa presa di posizione e collocazione di mercenari al servizio della Germania hitleriana e nazista. I bandi di arruolamento obbligatorio per quattro classi – 1923, 1924, 1925, 1926 - pena fucilazione che il duce della repubblichetta fascista emanò, ebbe un effetto largamente contrario: la gran parte sana dei giovani di questo Paese rifiutò l’imposizione, per cui l'unica soluzione fu quella di darsi alla macchia, unendosi a coloro che guidati dal C.L.N. (comitato di liberazione nazionale) avevano già imbracciato le armi contro i tedeschi per aiutare nel possibile gli eserciti Alleati a risalire più velocemente la penisola e affrettare così la fine di una immane tragedia.
Nessuno scatenò una guerra civile se non loro, i fascisti, che si accanirono con odio viscerale contro chi aspirava alla pace, chi era sospettato di non gradire i tedeschi, contro famiglie delle campagne e popolazione di comunità montane innocenti, senza distinzione di sesso e di età. Si accanirono insieme e come mercenari agli ordini dei tedeschi contro tutto e tutti, compiendo sul territorio nazionale immani e documentate stragi.
I fatti dimostrano ampiamente che non fu guerra civile ma bensì guerra ai civili. Ciò che scrisse Claudio Pavone nel suo libro (“Una guerra civile”) per mia convinzione è inesatto, perché se è pur vero che vi fu conflitto fra partigiani e fascisti, gli uni combattevano liberamente contro i tedeschi per ridare al Paese la dignità perduta, gli altri lo facevano sotto il comando ed al servizio completo dell'occupante nazista (non dimentichiamo che l'Italia legittima era sotto il vincolo di un armistizio) per cui è bene ribadirlo: la posizione dei fascisti era inequivocabilmente al servizio della Germania che brutalmente imperversava sul suolo italiano.
Chi purtroppo ancora oggi tende a lasciare confuso il problema, dovrebbe ricordarsi che fin dall'ottobre 1943 i legittimi e democratici governi del C.L.N. avevano indicato i fascisti di Salò quali traditori e nemici della Patria. L'Italia, negli anni 1943-1945, per causa del fascismo ha visto e subito sul proprio suolo lo scontro fra due fortissimi eserciti, in una guerra di vera distruzione umana e materiale.
Per lunghi anni, dal 1940 al 1945, il popolo ha subito ogni sorta di violenze: dai bombardamenti aerei e di artiglierie, poi alle sopraffazioni brutali, gli stupri delle donne, le distruzioni delle proprie case, il freddo, la fame, le tremende stragi di comunità indifese e innocenti. Negli ultimi mesi e giorni di guerra, i fascisti – che avevano assecondato le deportazioni nei lager - nonostante fossero ormai consapevoli della loro sconfitta anziché "ammorbidirsi", divennero ancora più feroci e pieni di rancoroso odio vendicativo, per cui massacrarono migliaia di giovani dei quali molti rastrellati anche a casaccio e che buttati dentro le carceri, a gruppi vennero poi prelevati e fucilati.
Nell'immediato dopo guerra si sono lamentati per l'inconsulta reazione subita, dimostrando chiaramente la loro opportunistica indole e con una irresponsabilità mentale avevano pensato, che tutto il male fatto svanisse nel nulla all'incanto. Armi ce n'erano dappertutto e come era prevedibile il Paese venne a trovarsi di fronte alle previste situazioni tragiche, peraltro gli effetti furono di moltissimo contenuti e ciò poté verificarsi per merito del C.L.N.A.I. che si adoperò per imporre la propria etica morale di legalità.
Lo stesso leader comunista Togliatti, ministro della giustizia, nell'agosto 1945 in un discorso tenuto a Milano volle ribadire e dare maggiore spinta all’esigenza del ripristino della legalità e a lavorare per la ricostruzione morale e materiale del Paese. Chi malignamente volle e vuole ancora oggi far credere di avere individuato nei delitti avvenuti all’indomani della liberazione i segni di una appartenenza politica, finge con poca etica di ignorare i segni delle profonde ferite che quegli energumeni avevano lasciato nel fisico e nella mente di qualsiasi essere umano, anche se non necessariamente legato a partiti o movimenti.
Chi ha voluto vedere nei deprecati episodi solo responsabilità di partiti ha commesso voluti errori di valutazione. Chi pensò di addossare al P.C.I. quelle tristi vicende, non può esimersi dall'accusa di strumentalità. Non negando l'evidenza di quei fatti e condannandoli (ma sempre con le dovute riserve) non ci si può nascondere certamente dietro un dito, ma le motivazioni che produssero quelle sgradevoli ritorsioni furono più che evidenti e i rei di quei fatti furono di diversa indole, provenienza e mentalità, fra essi certamente vi furono anche coloro che non seppero tollerare una evidente e doverosa mancanza di giustizia.
Comunque per la storia, come già è stato detto quegli avvenimenti furono aspramente criticati da tutti i partiti del C.L.N. e la Magistratura non rimase inoperosa. Agli inizi dell'anno 1946 fu calcolato che nelle carceri italiane ci fossero all'incirca 50.000 fascisti riconosciuti dai tribunali imputati di delitti e malefatte.
L'amnistia emanata dal Ministro della Giustizia Palmiro Togliatti, come segnale di riappacificazione il 22 giugno li mise in libertà e anche questo influì nel risvegliare in qualcuno le sofferenze subite e represse, con il desiderio di vendicarsi quando si è ritrovato il fascista in circolazione a riprendersi influenza e prestigio sociale.
Lo scrittore e storico Onofri Nazario Sauro, in un suo scritto basato su documenti del governo datati 2 novembre 1946, sottolinea che non fu la Regione Emilia Romagna ad avere il maggior numero di fascisti morti e in una graduatoria riporta i seguenti dati: Piemonte 2523, Emilia Romagna 1950, Lombardia 1481, Liguria 1360, Veneto 907, Friuli Venezia Giulia 472, Toscana 308, Lazio 136, Valle D'Aosta 107, Marche 84, Umbria 17, Abruzzo 16, Trentino Alto Adige 06, Campania 05, Basilicata 03, Molise 01. Totale 9376.
L' 11 giugno 1952, parlando alla Camera dei Deputati, il Ministro degli Interni Mario Scelba disse che i morti erano stati 1732, ammonendo i fascisti di smetterla di gonfiare con numeri inventati e fasulli il pallone. Altre analisi fatte hanno dato risposte diverse, ma anche di comodo, per cui resta la valutazione dei fatti di quel momento storico. In quei giorni l'Italia si trovò nella catastrofe e nella confusione; si pensi alla presenza di soldati appartenenti a circa venti nazioni di quattro continenti del mondo. Di tutto ciò, l'unico responsabile era stato il fascismo che per la gravità dei suoi misfatti, si può affermare che non ha pagato quasi nulla.
La Destra post-fascista certamente ricorda poco e solo ciò che le fa comodo. L'augurio che le si può fare è, che acquisisca la dignità (di cui si vanta) per riconoscere la storia nella sua verità. Il leader emblematico di Alleanza Nazionale Gianfranco Fini, ora Presidente della Camera dei Deputati, ha ribadito che fascismo equivale a dittatura e quindi fra essa e la democrazia non c'è conciliabilità.
Quindi, una dichiarazione di lealtà alla democrazia a cui il suo partito dice di ispirarsi, ma che ha visto la sua base reagire immediatamente per smentirlo. Alleanza Nazionale dice di aver preso le distanze dal suo punto di partenza storico che è stato il M.S.I., idealmente legato alla vergognosa repubblichetta di Salò e che per 40 anni nel dopo guerra ha sostenuto la visione di un eversivo rivoluzionario principio contro ogni concetto di democrazia.
Ma dire di aver preso le distanze così in modo generico non significa nulla se non si fa una autentica autocritica al proprio passato. Quando si vuole rinnovare una casa, si butta ciò che non si considera più valido. La Destra italiana si dimostra in contraddizione con se stessa, perché sotto il vestito di gala della democrazia "presa in prestito per il momento" mantiene sempre l'abito vecchio, dal quale, costretta per ragioni di interesse diplomatico, ha scartato soltanto quel pezzetto che ha interessato le leggi razziali, tutto il resto dell'abito, pieno di nefandezze compiute a casa dei propri connazionali e in casa di altri popoli, lo tiene ben stretto senza rinnegarne nulla.
Gli illustri padri della Costituzione dissero allora ai giovani di fare attenzione e vigilare su quel DOCUMENTO che è patrimonio della nazione tutta. Nella memoria storica di questo Paese dovrà sempre rimanere vivo il ricordo dei giovani che hanno dato la loro vita per l'affermazione della libertà.
Coerenza vorrebbe, che questo divenisse unico patrimonio della storia italiana del secolo scorso e che fosse di reale spinta per la realizzazione di diritti e doveri uguali per tutti.
Dovrebbe stare nella convinzione degli italiani che a governare questo Paese siano forze politiche nel cui DNA ci sia sempre presente l'antifascismo, che fu importante e necessario per riportare l'Italia ai valori della democrazia e della libertà che all'inizio degli anni venti del secolo scorso il fascismo calpestò e distrusse.
Ermenegildo Bugni
Segretario Organizzativo ANPI provinciale Bologna
31 ottobre 2008